Felice Halloween Vol. 2

Mega ciao!

Tremate, tremate…le streghe son tornate! Vi presento IC 2118, la nebulosa “Testa di strega”, situata nella costellazione di Orione a circa 800 anni luce di distanza da noi. IC 2118 è una nuvoletta di gas e polvere interstellare con una dimensione di circa 70 anni luce. In questa immagine potete vederla nell’infrarosso. Nella regione della nebulosa, dove si stanno formando nuove stelle, si possono vedere anche stelle massicce. La luce delle stelle massicce viene assorbita dalla nebulosa e riemessa nell’infrarosso, rendendo visibile il profilo della strega cattiva!

A presto!

Sara

La nebulosa testa di strega (Image credits: NASA)

Felice Halloween Vol. 1

Mega ciao!

Pronti a festeggiare Halloween? Preparatevi a dei post spaziali da brividi?

Anche l’universo ci regala delle immagini a tema Halloween.

Negli anni ’70 la NASA ha spedito su Marte due sonde, le Viking 1 e 2, che erano dotate di moduli di atterraggio con una missione speciale: fare degli esperimenti su campioni di suolo marziano per vedere se fossero presenti dei microrganismi. Purtroppo i quattro esperimenti hanno dato risultati di dubbia interpretazione, quindi non sappiamo ancora se sia presente la vita sul pianeta rosso. Mentre i due lander portavano avanti i loro esperimenti, le sonde continuavano ad orbitare attorno a Marte e ad inviare a terra delle foto spettacolari. Quando gli astronomi hanno visto la foto inquietante che trovate qui sotto hanno esclamato: “Oh, per tutte le stelle cadenti, quella è una faccia! Ma, quindi, qualcuno deve averla costruita! Allora i marziani ci sono! Ma dove si saranno nascosti? Andiamo a cercarli!” Però cerca di qua e cerca di là, non hanno trovato nessuna traccia degli omini verdi. Allora hanno deciso di andare ad osservare di nuovo la faccia di Marte e hanno scoperto che non è una faccia: è semplicemente un’illusione ottica provocata da un gioco di luci e ombre su un piccolo rilievo marziano. Peccato! Per gli omini verdi dovremo aspettare ancora parecchio tempo.

A presto!

Sara

La faccia di Marte (Image credits: NASA)

Un viaggio spaziale Vol. 4

Mega ciao!

Pronti per tornare a bordo della Firestorm?

Abbiamo lasciato i nostri eroi mentre stavano attraversando la fascia di asteroidi. Dagli oblò della navicella spaziale hanno potuto vedere da vicino Vesta, l’asteroide più brillante in cui si trova un cratere talmente profondo che ha scoperto gli strati del mantello. Mentre la navicella si allontana e l’equipaggio vede l’asteroide farsi sempre più piccolo, la sirena d’allarme comincia a suonare. Molti entrano nel panico: un allarme nello spazio non è mai una buona cosa. Se si rompe un pezzo dell’astronave non esiste l’officina spaziale in cui andare a comprare pezzi di ricambio! La comandante però sa il fatto suo e mantiene il sangue freddo. Si precipita nella cabina di comando e controlla quale allarme sia scattato. Il segnale arriva dal radar: ci sono dei piccoli oggetti in rotta di collisione con la Firestorm! Simone, addetto al controllo radar e al disegno di pezzi di ricambio dell’astronave, comunica alla comandante che quei piccoli sassi spaziali sono comparsi all’improvviso. Un piccolo asteroide si è schiantato contro Vesta, mentre la Firestorm si stava allontanando, scagliando una miriade di detriti nello spazio. L’impatto tra l’astronave e il corpo più vicino è previsto entro 5 minuti. La comandante ordina quindi a Gae, il pilota della missione, di cambiare rotta e portarsi ad una distanza di sicurezza dai detriti. Scampato il pericolo, i nostri eroi si rimettono in rotta verso Giove.

I mesi trascorrono tra un allarme e l’altro: non è sempre semplice calcolare le orbite degli asteroidi, perchè possono entrare in collisione tra loro modificando la loro traiettoria e lanciando detriti nello spazio. L’equipaggio ha i nervi a fior di pelle e per la comandante non è semplice mantenere l’ordine.

Come se non bastasse c’è stato un malfunzionamento dell’impianto di depurazione dell’acqua. Per i viaggi spaziali non è possibile trasportare una quantità infinita di cibo e acqua, quindi l’acqua viene riciclata. Questo significa che gli astronauti bevono la loro dose giornaliera di acqua, fanno pipì e questa viene filtrata e depurata in modo che possa essere bevuta di nuovo. Uno dei depuratori della Firestorm si è rotto, ma se ne sono accorti solamente quando due assetati astronauti si sono ritrovati pipì invece di acqua nel bicchiere. Fortunatamente nella stiva c’era il pezzo di ricambio giusto. Ovviamente nei viaggi spaziali non è possibile portarsi dietro infiniti pezzi di ricambio, anche perchè in un’astronave grande come la Firestorm ci sono un sacco di sistemi che necessitano di manutenzione. Come faranno gli astronauti quando il depuratore si romperà ancora? Simone disegnerà con estrema precisione il pezzo da sostituire e lo stamperà con una stampante 3D. La stampa di materiale 3D può essere molto utile nei viaggi spaziali, per evitare di sovraccaricare la navicella e di occupare troppo spazio. La prima stampante 3D è stata mandata nello spazio nel 2014. Sulla Stazione Spaziale Internazionale è stata utilizzata da diversi astronauti, tra cui l’italiana Samantha Cristoforetti, per stampare degli oggetti a gravità zero e confrontarli con quelli stampati sulla Terra. E’ risultato che le condizioni di microgravità non hanno effetti significativi sulla stampa 3D, quindi gli oggetti stampati possono essere utilizzati senza problemi.

Risolti tutti questi problemi, finalmente la Firestorm è uscita dalla fascia di asteroidi. Giove e le sue lune sono visibili fuori dall’oblò. L’equipaggio si appresta quindi ad entrare in orbita attorno al pianeta gigante del Sistema Solare.

Cosa succederà?

Lo scopriremo nella prossima puntata.

A presto!

Sara

Samantha Cristoforetti e la stampante 3D sulla ISS (Image credits: NASA)
Giove e le sue lune riprese dalla sonda Juno (Image credits: NASA)

Un viaggio spaziale Vol. 3

Mega ciao!

I nostri coloni hanno completato la costruzione della base Gagarin su Marte. La serra ha cominciato a funzionare a pieno regime e i botanici stanno coltivando come se non ci fosse un domani. Nel laboratorio gli astrobiologi stanno analizzando i campioni di terreno marziano alla ricerca di forme di vita, mentre nella sala controllo gli astronomi stanno manovrando il telescopio dell’osservatorio per sondare i misteri dell’universo. Tutto funziona a meraviglia ed è arrivato il momento per Gae pilotare il lander verso la Firestorm, per ricongiungersi con il resto dell’equipaggio.

Indossata la tutona spaziale, Gae esce nella bellissima desolazione della notte marziana e, alzati gli occhi al cielo, ammira per l’ultima volta le due piccole lune. Phobos e Deimos si sono formati in modo diverso rispetto alla nostra Luna. Un tempo erano degli asteroidi, che sono stati catturati dal campo gravitazionale del pianeta rosso. La loro superficie è cosparsa da una miriade di crateri. Una cosa divertente è che se andaste a visitare Phobos e decideste di spiccare un piccolo salto atterrereste ad un chilometro di distanza. Attenzione quindi a non darvi una spinta troppo forte, perchè vi ritrovereste a fluttuare nello spazio senza poter più tornare indietro. Insomma, morireste malissimo!

3, 2, 1…decollo! Gae parte e riporta il lander alla Firestorm. Dopo una tranquilla notte di riposo, la comandante ordina a Gae di mettere la navicella spaziale in rotta verso Giove. Non sarà un viaggio semplicissimo: tra Marte e il pianeta gigante del Sistema Solare c’è la grande fascia di asteroidi.

Gli asteroidi sono dei sassi spaziali di dimensione variabile tra qualche centimetro e qualche centinaio di chilometri. Orbitano attorno al Sole seguendo orbite ellittiche. Il problema è che possono essere deviati dalle loro traiettorie a causa dell’attrazione gravitazionale dei pianeti. In questo caso possono entrare in collisione tra loro e schiantarsi sparando nello spazio molti detriti. Questi possono mettersi in rotta di collisione con la Firebolt e provocare danni catastrofici. Essere colpiti da sassi spaziali non è mai una bella cosa, come hanno avuto modo di provare i dinosauri.

Il viaggio prosegue tranquillo e un bel giorno la comandante invita tutti a guardare fuori dall’oblò: la Firestorm sta passando vicino a Vesta, l’asteroide più brillante. Vesta è stato scoperto nel 1807 e ha un diametro di 525 km. E’ stato mappato dal telescopio spaziale Hubble, con cui è stato osservato un cratere talmente profondo che ha scoperto lo strato del mantello dell’asteroide. La visione del cratere è mozzafiato! L’equipaggio osserva la superficie di Vesta allontanarsi e farsi sempre più indefinita, quando all’improvviso scatta la sirena d’allarme. Cosa sarà successo?

Lo scopriremo nella prossima puntata.

A presto!

Sara

Phobos (Image credits: NASA)
Deimos (Image credits: NASA)
Vesta (Image credits: NASA)

Un viaggio spaziale

Mega ciao!

Pronti per tornare a bordo della Firestorm?

Avevamo lasciato i nostri eroi, meno i due terrapiattisti morti male, in orbita attorno a Venere. La comandante Sara aveva ordinato delle missioni speciali.

Gianluca, il genio dei computer, doveva cercare di hackerare il sistema del lander rubato dai due terrapiattisti e riportarlo alla navicella madre. Purtroppo la missione è riuscita solo a metà: Gianluca è riuscito ad entrare nel sistema e a far decollare il lander, ma questo è esploso mentre stava per uscire dall’atmosfera di Venere in quanto il suo scudo termico è stato danneggiato dalle piogge acide.

Frasca, l’astrobiologa della missione, è riuscita a raccogliere un sacco di dati e ha confermato la presenza della fosfina in atmosfera di Venere. Ha trovato i microrganismi? Non ancora! Ha raccolto talmente tanti dati che serviranno anni per analizzarli tutti. Fortunatamente non è da sola. Ilaria la sta aiutando con un altro compito molto importante: capire la reale stratificazione dell’atmosfera di Venere. Questo è fondamentale per capire dove si potrebbero nascondere le colonie di microrganismi.

Il resto della ciurma ha usato le ultime settimane per fare osservazioni al telescopio, andando a sondare stelle, nebulose e galassie. Le scoperte non tarderanno ad arrivare. Soddisfatta dell’impegno dimostrato dal suo equipaggio, la comandante ordina a Gaetano, il suo braccio destro nonchè pilota della missione, di fare rotta verso Marte. Dopo qualche mese di viaggio i nostri eroi arrivano al pianeta rosso e, a malincuore, devono salutare 20 membri dell’equipaggio. Loro saranno infatti i primi esseri umani a colonizzare Marte. Una volta scesi sul pianeta, il loro obiettivo è di installare gli habitat in uno dei canali orizzontali scavati dalla lava dei vulcani e di costruire una cupola che possa ospitare un telescopio di 3 metri di diametro. Lo specchio, la struttura e tutti i sistemi di ottica adattiva sono stati inviati mesi prima con tre missioni senza equipaggio. Basta solo “ammartare” abbastanza vicini e unire i pezzi, come quando si costruisce la Morte Nera di lego. 3, 2, 1…distacco. I 20 prescelti cominciano la loro discesa verso il pianeta rosso, entrano in atmosfera e Gaetano li porta sani e salvi vicinissimi alle zone di ammartaggio delle sonde di rifornimento.

Il mitico Gae resterà su Marte il tempo necessario per assicurarsi che l’habitat sia stato montato correttamente e che non ci siano malfunzionamenti. Poi riporterà il lander alla Firestorm e riprenderà il viaggio con il resto della ciurma.

Perchè l’habitat deve essere costruito sotto terra? Marte non ha molta atmosfera e non ha un campo magnetico come quello della Terra. Infatti non è dotato di una dinamo interna che possa creare un campo magnetico globale, ma presenta comunque delle tracce di campi magnetici locali. Atmosfera e campo magnetico sono essenziali per proteggere il suolo dalle radiazioni provenienti dal Sole e dallo spazio. Su Marte questo non è possibile, quindi gli habitat devono essere costruiti nei canali orizzontali scavati dalla lava dei vulcani. Tranquilli, i nostri coloni non corrono il rischio di morire bruciati. L’attività vulcanica si è spenta da un bel pezzo!

Tra i 20 prescelti troviamo Paolo, l’esperto di telescopi che sarà il direttore dell’osservatorio “Kip S. Thorne” su Marte. Ovviamente per poter osservare il cielo, la struttura sorgerà sulla superficie marziana. I 20 cercheranno di costruirla il più velocemente possibile, in modo da limitare l’esposizione alle radiazioni. Una volta ultimati i lavori, come faranno a fare osservazione se non si può restare per lungo tempo in superficie? Semplicissimo: comanderanno il telecopio da remoto. Nell’habitat ci sarà una bellissima sala controllo, da cui gli astronomi dell’equipaggio potranno aprire la cupola, puntare il telescopio e fare fotometria e spettroscopia degli oggetti osservati.

I coloni hanno tre compiti importantissimi:

1- puntare il telescopio verso i pianeti del Sistema Solare per vedere se sono in fase;

2- andare a verificare se nel terreno marziano siano presenti dei microrganismi;

3- avviare una serra e rendere la colonia indipendente dalla Terra.

La prima missione dà i risultati previsti: Mercurio, Venere e la Terra hanno le fasi, mentre i pianeti giganti no.

La seconda missione potrebbe lasciarvi perplessi: perchè cercare la vita su Marte se sappiamo che è un pianeta deserto, in cui non cresce niente? Le sonde passate hanno scoperto le tracce di sedimentazione tipiche che lascia un oceano quando si espande o quando si ritrae. Quindi una volta su Marte c’era un sacco di acqua liquida. Sapete che sulla Terra l’acqua è uno degli ingredienti essenziali per la vita. Si pensa che un tempo su Marte ci fossero organismi viventi e che la vita possa esserci ancora, sotto forma di microrganismi. E’ importante verificare queste ipotesi.

La terza missione è necessaria. La colonia deve essere in grado di produrre cibo, acqua, pezzi di ricambio per l’habitat e altre risorse necessarie alla sopravvivenza. Mandare delle sonde con i rifornimenti si può fare fino ad un certo punto, ma presenta dei problemi. Una sonda impiega circa 7/8 mesi per arrivare su Marte. In questo tempo, si potrebbero perdere i contatti con la sonda, che resterebbe quindi a fluttuare per sempre nello spazio. La sonda potrebbe esplodere nel momento del lancio oppure all’entrata in atmosfera marziana. I paracadute potrebbero non aprirsi (com’era successo al modulo di atterraggio Schiaparelli, che si è schiantato producendo un piccolo cratere e da allora si è guadagnato il soprannome Schiapparelli), quindi la sonda si schianterebbe su Marte distruggendo tutti i rifornimenti. Meglio evitare che i coloni muoiano di fame, quindi coltivazioni come se non ci fosse un domani!

I nostri coloni hanno iniziato a costruire tutto. Cosa ci aspetta nella nostra missione?

Lo scopriremo nella prossima puntata. Prima di lasciarvi però vi chiedo un aiuto: ci serve un bel nome per la colonia su Marte. Qualche idea?

A presto!

Sara

Marte (Image credits: NASA)
Future colonie marziane

SOLUZIONE ASTROQUIZ 20: le fasi dei pianeti

Mega ciao!

SOLUZIONE ASTROQUIZ 20

Vi avevo chiesto quali pianeti hanno le fasi come la Luna. Le diverse opzioni erano:

1- Mercurio e Venere

2- Marte e Giove

3- Saturno, Urano e Nettuno.

In realtà è una domanda trabocchetto XD Infatti non vi ho specificato da dove stiamo osservando. Avete risposto tutti Mercurio e Venere, che è corretto se assumiamo di osservare i pianeti dalla Terra. Infatti, come ha scoperto il buon vecchio Galileo con il suo piccolo telescopio, Venere ha le fasi così come Mercurio. Questa è una caratteristica di tutti i corpi che si trovano tra la Terra e il Sole. I due pianeti interni mostrano una fetta di superficie (o di nuvole nel caso di Venere) più o meno grande a seconda del punto dell’orbita in cui si trovano e di dove si trova la Terra lungo la sua orbita. I due pianeti possono trovarsi dietro al Sole (congiunzione superiore) o esattamente in mezzo tra la Terra e la nostra stella (congiunzione inferiore). In questi due casi non riusciamo a vederli. Nei punti di massima elongazione est e ovest i due pianeti sono visibili in fase dopo il tramonto e prima dell’alba rispettivamente.

Questo però succede se siamo sulla superficie terrestre e, con il nostro telescopio, ci scateniamo in osservazioni planetarie come il buon vecchio Galileo. Cosa succederebbe se ci spostassimo in un altro punto del Sistema Solare?

Salite tutti con me a bordo della mia astronave, la Firestorm, e cominciamo il conto alla rovescia per il lancio.

Nell’attesa di partire ci tengo a dirvi che la Firestorm è un’astronave pazzesca! E’ dotata dei più moderni sistemi di depurazione dell’acqua, ha un perfetto scudo che ci protegge dalle radiazioni, ha una notevole scorta di cibo, una serra in cui crescono un sacco di piante commestibili e patate (Mark Watney insegna che sono facili da coltivare e le potete cucinare in tantissimi modi diversi), ha una palestra incredibile in cui potete allenarvi, un cinema e ovviamente tutti i sistemi per creare la forza di gravità, in modo da non perdere troppa massa muscolare. Detto questo siamo arrivati alla fine del conto alla rovescia: 3, 2, 1…l’astronave parte con un grande boato, la folla è in delirio, raggiungiamo gli 11.2 km/s, la velocità di fuga dalla Terra e…ci siamo! Siamo nello spazio!

A questo punto decidiamo di visitare tutti i pianeti del nostro bellissimo Sistema Solare e, dato che siamo organizzati come Sheldon Cooper, lo facciamo con ordine, procedendo dal più vicino al più lontano dal Sole.

Per primo quindi visitiamo Mercurio, il più piccolo pianeta del Sistema Solare. Atterriamo con un lander in una regione del pianeta immersa nella notte, indossiamo la nostra tutona spaziale e scendiamo sulla sua superficie. Ci portiamo dietro il nostro telescopio, un bellissimo Schimdt-Cassegrain da 20 cm di diametro, e la camera CCD, perchè le osservazioni all’oculare non si possono fare. Sapete com’è…se ci togliamo il casco su Mercurio muoriamo malissimo. Osserviamo tutti i pianeti del Sistema Solare e notiamo che nessuno di questi oggetti è in fase, com’era prevedibile visto che nessuno di loro si trova dentro l’orbita di Mercurio.

Soddisfatti dalla nostra osservazione saliamo sul lander, torniamo alla Firestorm e partiamo alla volta di Venere (solo perchè siamo masochisti). Ignorando gli ordini della comandante Sara, due terrapiattisti, che sono riusciti a farsi ammettere nell’equipaggio mentendo spudoratamente alle domande scientifiche, rubano un lander e atterrano su Venere. Guardando fuori dall’oblò notano che il cielo venusiano è tutto giallo, ma non perdono la speranza che le nuvole si spostino, come noi astrofili quando arriviamo in Novegno e c’è così tanta nebbia che sembra di essere a Silent Hill. Quindi indossano la tutona spaziale, prendono il loro telescopio comprato in periodo natalizio nel reparto giocattoli del centro commerciale, aprono l’oblò, escono fuori e….muoiono malissimo! Come la comandante gli aveva detto, su Venere ci sono, oltre a 475°C (ma le nostre tutone spaziali sono di ultima generazione quindi non ci interessa), 95 atmosfere, cioè un’atmosfera 95 volte più pesante della nostra. I due terrapiattisti sono morti schiacciati!

Nel frattempo gli altri membri dell’equipaggio, che alle elementari hanno ascoltato la maestra e hanno studiato bene l’astronomia, si sono trasferiti nella cupola della Firestorm, dove la comandante ha fatto installare un telescopio Ritchey-Cretien da 1 metro di diametro. Osservando i pianeti scoprono che, dall’orbita di Venere, l’unico ad essere in fase è Mercurio. L’equipaggio vorrebbe partire subito alla volta di Marte, ma la comandante Sara ha un’idea geniale. Decide di fermarsi un altro po’ in orbita attorno a Venere e programma tre missioni speciali.

Incarica Gianluca, il genio dei computer, di hackerare il sistema del lander che i due terrapiattisti hanno portato su Venere. Spera infatti che si possa recuperare in qualche modo.

La seconda missione è per Frasca, l’astrobiologa del gruppo, che deve studiare l’atmosfera del pianeta, verificare se la fosfina c’è sul serio e cercare eventuali colonie di microrganismi che se ne vanno a spasso tra le nuvole.

La terza missione è affidata a tutti gli altri membri della ciurma: usate il telescopio per studiare galassie, nebulose e ammassi stellari. Dall’orbita di Venere, continuando a studiare, possiamo svelare un po’ di misteri dell’universo. Passa qualche settimana e…cosa sarà successo?

Lo scoprirete nella prossima puntata!

A presto!

Sara

Mercurio
Venere

SOLUZIONE ASTROQUIZ 19: e se il Sole diventasse un buco nero? Vol. 2

Mega ciao!

Questo giro siete stati molto bravi. Mi sa che vi sto facendo quiz troppo facili. Analizziamo comunque la

SOLUZIONE ASTROQUIZ 19

Vi avevo chiesto se la Terra piomberebbe subito nell’oscurità nel caso in cui il Sole collassasse in un buco nero. La risposta corretta è: FALSO.

Prima di cominciare la spiegazione vi ricordo che l’ipotesi che il Sole diventi un buco nero è assurda (ci serve solo a scopi didattici, per ragionare su argomenti astrofisici interessanti). Supponiamo inoltre che tutta la materia del Sole vada a collassare, senza che si verifichi un’esplosione in supernova. Quindi potete immaginare che tutti quegli 1.99*1030 kg vadano a condensarsi in una regione con un raggio di circa 3 km. Di conseguenza non c’è espulsione di materiale che possa andare a distruggere i pianeti e a formare un eventuale disco di accrescimento. Detto questo procediamo! Il Sole è collassato in un buco nero, ma un attimo prima le reazioni di fusione nucleare erano ancora attive, quindi produceva calore ed energia. Le reazioni di fusione producono anche i fotoni, i quanti di luce, che ci permettono di osservare i vari oggetti. Un attimo prima del collasso gli ultimi fotoni lasciano la superficie solare e cominciano il loro viaggio nello spazio. Dato che la distanza tra la Terra e il Sole è di circa 150 milioni di km e che la velocità della luce è di circa 300 mila km/s, i fotoni impiegano circa 8.33 minuti per arrivare fino a noi. I poveri terrestri si ritroverebbero quindi immersi nell’oscurità non nell’istante in cui si forma il buco nero, ma poco più di 8 minuti più tardi.

A presto!

Sara

SOLUZIONE ASTROQUIZ 18: e se il Sole diventasse un buco nero?

Mega ciao!

Ho visto che questo giro vi siete scatenati con il nostro quiz astronomico! Mi fa veramente piacere essere riuscita a coinvolgervi!

SOLUZIONE ASTROQUIZ 18

Vi avevo chiesto cosa succederebbe alla Terra se il Sole diventasse un buco nero. La risposta corretta è: la numero 2, cioè la Terra rimarrebbe nella stessa orbita. Però andiamo a vedere tutto per gradi. Come penso sappiate già, il Sole non diventerà mai un buco nero, perchè la sua massa è troppo piccola. Alla fine della sua vita, dopo aver espulso gli strati più esterni del suo inviluppo, il suo nucleo si contrarrà e diventerà una nana bianca. Supponendo per assurdo che il Sole collassi direttamente in un buco nero, senza esplosioni in supernova, allora tutta la sua massa sarebbe concentrata in una regione di con un raggio di quasi 3 km (considerate che il raggio attuale del Sole è di circa 695500 km), quindi raggiungerebbe una densità elevatissima. Nonostante ciò, l’attrazione gravitazionale che eserciterebbe sulla Terra sarebbe esattamente uguale a quella attuale. Infatti il buon vecchio Newton, con la sua teoria della gravitazione universale, ci dice che la forza gravitazionale tra due corpi nello spazio è data da una formula semplicissima:

F = G*M*m/R2

dove G è la costante di gravitazione universale, M e m sono le masse dei due oggetti (nel nostro caso il Sole e la Terra) e R è la distanza tra i loro centri.

Quindi vedete che, nell’ipotesi in cui tutta la massa del Sole vada a collassare il un buco nero, la forza esercitata dal Sole sulla Terra non cambia, perciò il nostro pianeta resta nella stessa orbita.

Qualcuno ha risposto al quiz inserendo una quarta opzione: la Terra diventerà buia. Giusto! E questa osservazione porterà all’astroquiz 20 della prossima settimana 😉

Questo però era solo un gioco per ragionare un po’ sulla forza di gravità: il Sole non diventerà mai un buco nero! Come abbiamo detto, diventerà una nana bianca, che piano piano si raffredderà. Questa stella morta non collasserà in un buco nero, ma se ne resterà tranquilla nello spazio.

Grazie per aver giocato con noi!

A presto!

Sara

Plutone e la definizione di pianeta

Mega ciao!

Quando andavo alle elementari e la mitica maestra Paola ci ha spiegato il Sistema Solare mi sono innamorata dell’astronomia! Durante le interrogazioni una delle domande più gettonate era: “Quali sono i pianeti del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole?” Allora partivamo a recitare: “Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone”. Nel 2006 però una cosa è cambiata. Ahimè, Plutone è stato declassato a pianeta nano. Nei primi anni 2000 gli astronomi avevano cominciato a scoprire diversi corpi con dimensioni simili al piccolo Plutone, quindi ogni tanto comparivano titoloni sui giornali che recitavano “E’ stato scoperto una altro pianeta nel Sistema Solare!”.

A quel punto la festa dei pianeti stava diventando troppo affollata, quindi gli astronomi hanno deciso di riunirsi e di decidere una volta per tutte la definizione di pianeta.

Cos’è un pianeta?

E’ un corpo che ha abbastanza massa da aver assunto una forma sferica, che deve orbitare attorno al Sole (o ad altre stelle se considerate i pianeti extrasolari) secondo un’orbita ellittica (a Keplero piace questo elemento) e che deve aver ripulito le vicinanze della sua orbita da eventuali detriti (come piccoli asteroidi).

Tutti i pianeti del nostro sistema rientravano in questa definizione tranne il povero Plutone, che è stato declassato a pianeta nano. Nonostante ciò, il piccolo Pluto rimane un oggetto molto interessante. E’ stato scoperto grazie ad un astronomo eccezionale: Percival Lowell. Pensate che lui non ha mai osservato Plutone, ma è riuscito a calcolarne l’orbita in base alle perturbazioni dell’orbita di Nettuno. Nel 1930 l’astronomo Clyde Tombaugh l’ha scoperto nel punto predetto da Lowell. Il pianeta nano però è talmente lontano che, anche utilizzando il telescopio spaziale Hubble, le sue immagini risultano come una serie di pixel sfuocatissimi (qui sotto potete vedere Plutone insieme a Caronte, la sua luna più grande). Per questo motivo alla NASA hanno deciso di spedire una sonda alla volta di Plutone. La New Horizons è partita nel 2006 e ha raggiunto il pianeta nano nel 2015, regalandoci delle immagini spettacolari e raccogliendo dei dati importantissimi che ci hanno permesso di capire meglio le caratteristiche di Plutone.

Cos’ha scoperto?

Lo vedremo nella prossima puntata.

A presto!

Sara

Plutone e Caronte (Image credits: NASA)

SOLUZIONE ASTROQUIZ 17: lo scontro tra due buchi neri

Mega ciao!

Dalle vostre risposte mi sono resa conto di avervi fatto un quiz troppo facile, comunque vediamo subito la

SOLUZIONE ASTROQUIZ 17

Vi avevo chiesto cosa succede quando due buchi neri si scontrano. La risposta corretta è: si fondono tra di loro in un buco nero più massiccio. Questo fenomeno è stato osservato per la prima volta grazie a LIGO, il rivelatore di onde gravitazionali, nel 2015. Questa scoperta è stata veramente eccezionale! Pensate che le onde gravitazionali erano state teorizzate da zio Albert Einstein nel lontano 1915, ma ci sono voluti 100 anni per avere la tecnologia abbastanza avanzata da riuscire a rivelarle. Per questo dobbiamo ringraziare il Prof. Kip Thorne #sempresialodato, che con il suo team in 30 anni di lavoro è riuscito a nell’impresa. Ma perchè due buchi neri si fondono e cosa resta dopo la fusione? I buchi neri si possono trovare legati gravitazionalmente l’uno all’altro in sistemi binari. Nel sistema i due oggetti orbitano attorno al centro di massa, ma possono perdere momento angolare quindi le orbite si stringono e i due oggetti spiraleggiano l’uno verso l’altro. Ad un certo punto si scontrano e si fondono in un buco nero più grande, emettendo onde gravitazionali, cioè delle perturbazioni della metrica dello spazio-tempo che si propagano nell’universo sotto forma di onde. La cosa interessante è che la somma delle masse dei due buchi neri di partenza è superiore rispetto a quella del buco nero risultante. Questo perchè parte della massa viene rilasciata nello spazio sotto forma di energia, in particolare come onde gravitazionali. Come mai? Ce lo dice di nuovo zio Albert Einstein. Massa ed energia sono la stessa cosa! Questo concetto è espresso dalla famosissima formula:E = m*c^2dove E è l’energia, m è la massa dell’oggetto e c è la velocità della luce.Pensate che la prima fusione di buchi neri osservata con LIGO ha coinvolto due oggetti di 29 e 36 masse solari. Il buco nero risultante era di 62 masse solari, quindi 3 masse solari sono state espulse come onde gravitazionali. Questa è una quantità di energia enorme! Ma se l’energia è così grande perchè ci sono voluti 100 anni per riuscire a scoprirle fisicamente? Semplicemente perchè l’ampiezza delle onde è di una parte su 10^(-21), cioè 0.000000000000000000001.

La settimana scorsa è uscita una notizia pazzesca! E’ stata rivelata un’onda gravitazionale proveniente dalla fusione di due buchi neri di rispettivamente di 85 e 66 masse solari. Il buco nero risultante è di circa 142 masse solari! Questa è la prima osservazione confermata di un buco nero di massa intermedia. Questi oggetti hanno masse comprese tra le 100 e le 100000 masse solari e rappresentano il tassello mancante per capire la formazione dei buchi neri supermassicci. Infatti, sappiamo che i buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie hanno masse superiori a 1 milione di masse solari. Però non esiste nessuna stella che possa raggiungere una massa del genere. Quindi si è ipotizzato che i buchi neri supermassicci possano formarsi dalla fusione di buchi neri di massa intermedia. Il problema è che, fino alla settimana scorsa, le prove dell’esistenza di questi oggetti erano ben poche. Infatti con i telescopi che analizzano dati a diverse lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico possiamo ottenere solo dei limiti sulla massa degli oggetti che osserviamo, non la certezza assoluta. La cosa fenomenale delle onde gravitazionali è che permettono di calcolare con precisione grandiosa le masse degli oggetti di partenza e di quello risultante.

Quindi finalmente abbiamo la prova assoluta: i buchi neri di massa intermedia esistono!

Boom!

Quanto mi gasano queste notizie!

A presto!

Sara

Simulazione numerica della fusione di due buchi neri consistente con il segnale GW190521, che ha confermato l’esistenza dei buchi neri di massa intermedia (Image Credits: N. Fischer, H. Pfeiffer, A. Buonanno, Max Planck Institute for Gravitational Physics)